Firenze, stesso binario, stesso orario…

Quasi un anno fa…

Tra qualche giorno qualcuno sara’ ucciso a New York

In un momento che in qualche modo ha scosso (nessuna battuta volontaria) l’italia e non solo, mi soffermo a pensare, dalla mia posizione fortunata di Roma, gli eventi mediatici di cui siamo ovviamente sommersi (senza alcuna accentuazione negativa… per ora). Il classico bombardamento televisivo (Vespa sempre il primo a pungere), che fortunatamente non mi ha travolto, i siti internet nazionali ed internazionali, e, per chi fa parte della comunita’ facebookiana, la grande mobilitazione che oggi tutti abbiamo potuto cogliere. In tutto questo mare di notizie, mi rimbomba nel cervello la vicenda delle accuse e polemiche sulla possibilita’ di previsione di un terremoto.

Io non sono assolutamente un esperto di geologia o sismologia, ma mi pare logico ed evidente, per i pochi e semplici studi, ormai lontani, del tempo del liceo, che i movimenti tellurici non siano proprio cosi’ evidenti da tracciare preventivamente e che siano allo stesso tempo una costante intrinseca della natura stessa della nostra Terra.

A questa minima base, aggiungo una semplice e veloce ricerca attraverso il web, che non puo’ essere ne completa ne produrre prove, ma semplicemente portare alla luce informazioni che sono facilmente reperibili.

Requisito fondamentale per prevedere qualcosa (un qualcosa, in questo caso, che non e’ nemmeno tracciabile come una piena di un fiume o un uragano) e’ la determinazione esatta (o con un’ottima approssimazione) del luogo e tempo di un determinato evento. Tutta questa polemica si basa su allarmi lanciati una settimana fa: i 70000 abitanti di L’aquila avrebbero dovuto abbandonare le loro case, il lavoro, la vita per una settimana? e fino a quando? E lo stesso allarme sembrava, per parole dello stesso ricercatore, essere rientrato con la fine del mese di marzo. Quindi inizia ad esserci qualcosa che non mi e’ chiaro. Tutto il metodo di previsione si basa, come ormai credo sapremo tutti, sull’analisi delle quantita’ di emissioni di radon: tecnica certamente non nuova e per ora ritenuta dalla comunitascientifica non sufficiente a descrivere ora e luogo di un terremoto catastrofico (ricordo, anche se ovvio, che le scosse telluriche sono eventi giornalieri).

Il blog del NYTimes pubblica: “just spoke with Ross Stein of the United States Geological Survey, who points out that there was a flurry of research into the possible use of radon gas measurements to predict earthquakes in the 1980s and early 1990s, but that interest in it essentially died out more than a decade ago. Mr. Stein explained that one problem is that radon is a gas that is measured at the surface, which is a long way from where whatever it is that happens to trigger an earthquake, 10 miles below the earth’s surface, is taking place. He added that since radon gas is so easy to measure, “it can launch an armchair industry” of earthquake forecasters”

Detto cio’, spero sinceramente che questo o altri metodi arrivino ad aiutarci a capire meglio e magari anche ad annunciare queste eventi cosi’ imponenti e drammatticamente tanto piu’ grandi di noi, cosi’ al limite della comprensione,  tali da ridimensionare l’animale uomo, magari anche solo per qualche ora, alla sua reale e fragile dimensione.

Tutte queste polemiche sui media mi sembrano, evidentemente non solo inutili, ma non rispettose di tutte quelle persone che in questo momento non hanno piu’ un letto sul quale rimanere svegli la notte a scrivere al computer (o dormire, come farebbero i piu’, credo): allo stato attuale delle conoscenze scientifiche , nulla si poteva fare prima, in questo senso; sicuramente si sarebbe potuto fare di piu’, e si dovrebbe fare, per l’adeguamento degli edifici storici e la progettazione dei nuovi a norme antisismiche!

Semplicemente credo che tutti siamo in grado di dire che qualcuno sara’, purtroppo tragicamente, ucciso a New York tra qualche giorno, ma senza poter dire con precisione ora e luogo, questo non puo’ essere altro che uno dei tanti eventi (in questo caso) drammatici della nostra vita.

L’infinito

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
De l’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminato
Spazio di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e ‘l suon di lei. Così tra questa
Infinità s’annega il pensier mio:
E ‘l naufragar m’è dolce in questo mare.

L’infinito di Giacomo Leopardi

Rileggendo questa splendida poesia, che a scuola abbiamo tutti dovuto affrontare più o meno interessati, mi fermo a pensare.

Non ho mai amato molto Leopardi, anzi. Negli anni degli studi (elementari, medie, ma soprattutto, ovviamente, liceo), anni in cui ho fatto la conoscenza forzata con il maestro di Recanati, non e’ mai accaduto di trovare quello stimolo che porta ad approfondire e quindi a portare poi con se negli anni la sua poetica. Semplicemente non mi trasmetteva le emozioni che servono a smettere di parlare e scherzare  con il compagno di banco, e a provare ad andare oltre all’obbligo del banco scolastico per scoprire quello che si nasconde tra quelle righe lette ad alta voce, causa di infiniti richiami per la costante perdita del “segno”.
Solo alcuni endecasillabi mi avevano fatto andare oltre all’obbligo di studio. I quindici qui sopra. Inquieti (come solo l’Infinito sa esserlo), ma di una inquietudine forse diversa da tutta la poetica di Leopardi. Un’inquietudine che avvolge e inebria, e lascia senza parole. E quest’immagine,

questa siepe, che da tanta parte
de l’ultimo orizzonteil guardo esclude
“:
e la mente che vola al di là del verde arbusto, e si perde…

E rileggendoli questa sera, ecco che mi colpiscono tutti i suoni, silenzi, sussurri; questo dipinto di rumori e di vuoti che corrono tra questi pochi versi, e li definiscono e colorano.

“Sovrumani silenzi, e profondissima quiete”
“il vento odo stornir tra queste piante”
“quello infinito silenzio a questa voce vo comparando”
“e le morte stagioni e la presente e viva, e il suon di lei”
“naufragar m’è dolce in questo mare

E sono queste immagini sonore, come un’altalena tra il silenzio, cosmico e interiore, e il fragore delle onde del mare, un mare caldo come un abbraccio avvolgente di donna, e il divenire del tempo, scandito dal canto degli uccelli primaverili, dal vento autunnale che spazza le foglie a terra, dalla pioggia sul vetro, dal continuo e inarrestabile divenire delle stagioni, che compongono questa splendida poesia sulla vita

Il buio si avvicina

ho rivisto questa notte, pian piano rintracciando nella memoria il ricordo e le emozioni della prima visione, “Near Dark” di Kathryn Bigelow, in Italia conosciuto come “Il buio si avvicina”.

Avevo letto da poco di questo film in un blog che elenca i migliori film sui vampiri, ma non l’avevo ricollegato al film visto almeno 15 anni fa, in una notte in cui rimasi pietrificato sul divano mentre scorrevano le immagini di questo film in cui mi ero imbattuto casualmente.

Mi lasciò a bocca aperta allora, come oggi. Incredibile sensazione riassaporare un film, un libro, racconto, insomma emozioni che si avevano già vissuto e che pian piano erano scivolate chissà dove, sommerse da sempre nuovi stimoli, e ritrovarle uguali, ancora forti, riscoprirle, e colorarle con tonalità diverse; tonalità nuove grazie a tutte le esperienze che costruiamo ogni giorno.

Forse è strano scrivere tutte queste righe attorno ad un film di vampiri (anche se chissà come mai, mi provocano sempre piacevoli sensazioni), ma credo che certe sensazioni vengano provocate dagli stimoli più disparati, ed è bello coglierle e farle proprie. Senza nulla togliere alla pellicola, che è, a mio parere, stupenda, anche se hai puristi il colpo di scena finale può far storcere il naso. Da vedere o ri-vedere!

Incipit VI

Egli abita uno dei bracci della stella di pietra.

La prigione della SANTÉ.

Siccome è condannato a morte, il braccio dove si catalogano i condannati a morte.

L’asteria pietrificata, specchio delle stelle, per schiudersi non ha aspettato che l’ora delle stelle.

- L’amore assoluto – Alfred Jarry

Incipit V

Una sera me ne stavo a sedere sul letto della mia stanza d’albergo, a Bunker Hill, nel cuore di Los Angeles. Era un momento importante della mia vita; dovevo prendere una decisione nei confronti dell’albergo. O pagavo o me ne andavo: cosí diceva il biglietto che la padrona mi aveva infilato sotto la porta. Era un bel problema, degno della massima attenzione. Lo risolsi spegnendo la luce e andandomene a letto.

- Chiedi alla polvere – John Fante

“Sailing to Byzantium” by W. B. Yeats

THAT is no country for old men. The young
In one another’s arms, birds in the trees
- Those dying generations – at their song,
The salmon-falls, the mackerel-crowded seas,
Fish, flesh, or fowl, commend all summer long
Whatever is begotten, born, and dies.
Caught in that sensual music all neglect
Monuments of unageing intellect.

An aged man is but a paltry thing,
A tattered coat upon a stick, unless
Soul clap its hands and sing, and louder sing
For every tatter in its mortal dress,
Nor is there singing school but studying
Monuments of its own magnificence;
And therefore I have sailed the seas and come
To the holy city of Byzantium.

O sages standing in God’s holy fire
As in the gold mosaic of a wall,
Come from the holy fire, perne in a gyre,
And be the singing-masters of my soul.
Consume my heart away; sick with desire
And fastened to a dying animal
It knows not what it is; and gather me
Into the artifice of eternity.

Once out of nature I shall never take
My bodily form from any natural thing,
But such a form as Grecian goldsmiths make
Of hammered gold and gold enamelling
To keep a drowsy Emperor awake;
Or set upon a golden bough to sing
To lords and ladies of Byzantium
Of what is past, or passing, or to come.

il ritorno (e una stanza per alberto)

dopo una assenza forzata da pensieri e lavoro e distrazioni…. eccomi di nuovo a scrivere… e a lasciare una stanza per alberto (se non la ha ancora visitata)

Incipit IV

L’ho conosciuta otto anni fa. Frequentava il mio corso. Io non insegno più a tempo pieno, e se volessi essere preciso dovrei dire che non insegno letteratura: già da molti anni tengo un solo corso, un grande seminario di critica letteraria, per i laureandi, che ho chiamato Practical Criticism.

- L’animale morente – Philip Roth

Incipit III

Siamo nel 1985: quindici anni appena ci separano dall’inizio d’un nuovo millenio.

- Lezioni americane – Italo Calvino